Circa un mese fa ho saputo che Richard Stallman, padre fondatore del movimento per il software libero, sarebbe venuto a Göteborg per tenere una lezione aperta sul tema fri programvara och frihet i det digitala samhället (“software libero e libertà in una società digitale”) presso un bunker a pochi minuti da casa mia che sta venendo convertito in un data center di massima sicurezza. La notizia mi è arrivata tramite la mailing list di Fripost, l’organizzazione di posta elettronica democratica di cui faccio parte da qualche mese, ma anche tramite Slack, la piattaforma di messaggistica istantanea che, discutibilmente, viene utilizzata da gran parte dei miei colleghi, me compresa, per le comunicazioni informali.

Personalmente, non vedevo l’ora di ascoltare ciò che Stallman aveva da dire nel 2025, anno in cui molte delle mie riflessioni, complice l’attuale situazione (geo)politica, si sono incentrate proprio su questo argomento. Tuttavia, un mio collega ed amico intimo si è premurato di farci sapere tramite il canale Slack di cui sopra che non avrebbe partecipato all’evento perché aveva sentito troppe cose negative sul suo conto. Questa, per me che di Stallman avevo visto qualche intervento registrato e letto qualche articolo diversi anni fa, quando ero un’informatica in erba, era senz’altro una sorpresa.

Ho fatto un giro sul web, senza trovare nè ragioni incontrovertibili per gli attacchi che Stallman ha subito di recente, nè prove inconfutabili della sua malafede per quel che riguarda le sue dichiarazioni più criticate. Mi sono anzi fatta l’idea che si tratti di un personaggio a tratti incompreso, a tratti deliberatamente strumentalizzato. Indubbiamente, però, ho preso consapevolezza del fatto che Stallman sia una figura molto più controversa di quanto non pensassi, persino all’interno del movimento da lui fondato e dei gruppi ad esso affini.

Mi sono dunque recata all’evento curiosa di capire cosa provochi questo tipo di reazioni. Queste le mie impressioni “a freddo”, ad oltre due settimane dall’evento.

“Imponerande många datakillar

La primissima cosa che ho notato, prima ancora dell’inizio della conferenza, è stata la composizione demografica della lunghissima coda che si era formata davanti al bunker. Nemmeno nei dipartimenti d’informatica che ho frequentato, dove le donne sono notoriamente una minoranza, ho mai riscontrato un tale squilibrio di genere.

La cosa non è stata notata solo da me, ma persino da alcuni maschi. Per esempio, è stata commentata esplicitamente nel podcast Trevlig mjukvara (“Software piacevole”, o qualcosa del genere). Un mio collega, inoltre, ha commentato che c’erano imponerande många datakillar (“un numero impressionante di informatici (maschi) e simili”), anche se non so se intendesse la parola killar (“ragazzi/uomini”) in modo marcato o come un generico “tizi”.

Trovarmi in gruppi così composti non mi provoca particolare turbamento (anzi, mi motiva ancor di più ad essere parte attiva nella comunità del software libero), ma mi pare che il dato sia significativo e ci dica qualcosa sulla comunità stessa. Non so bene, però, che cosa: Stallman, a prescindere da cosa gli altri dicano di lui, si è espresso in modo abbastanza inequivocabile sulla parità di genere ed il sistema per fare domande durante l’evento (per iscritto, anonimamente) mi è sembrato più che funzionale all’inclusione delle minoranze, anche se non so se ciò sia stato intenzionale o una fortunata coincidenza.

In direzione ostinata e contraria1

Stallman è certamente un radicale (aggettivo che nel mio mondo può avere una connotazione molto positiva, vedi “Partito Radicale” e “Radio Radicale”2). Non mi sembra affatto, però, che sia un estremista. Dal punto di vista dei contenuti, il suo intervento è consistito in una serie di fatti oggettivi dei quali non tutti hanno sufficiente consapevolezza e di ragionamenti in larghissima parte condivisibili. Ritengo che le sue posizioni appaiano estreme e talvolta persino ridicole perché si ostina vivere la sua vita con straordinaria coerenza nonostante un contesto globale in cui la tecnologia sta accelerando in direzione opposta a quella da lui auspicata.

Non credo che tutti debbano agire come Stallman, nè lo vedo come un role model per il mio (per ora molto timido) attivismo, ma nutro nei suoi confronti rispetto e ammirazione. Sono inoltre convinta che un certo numero di persone come lui sia funzionale alla causa. Nel nostro piccolo, anche nel mio dipartimento abbiamo chi si rifiuta di utilizzare il tutto il software proprietario (Slack, per esempio) che non ci sia ineludibilmente imposto. Mi sembra che, da parte di molti, il suo atteggiamento sia vissuto con fastidio, ma per me è un promemoria costante di certe cose che andrebbero cambiate. Un altro collega ha commentato che serve qualcuno che faccia da contrappeso alle grandi industrie tecnologiche, e anche questo mi pare un punto di vista condivisibile.

Un disco rotto

L’intervento di Stallman è stato per molti versi piuttosto… noioso. Il 90% dei punti principali non mi erano affatto nuovi, nonostante non lo seguissi attivamente da alcuni anni (del rimanente 10% impossibile non nominare la questione del cosiddetto Chat Control, che in qualche modo non era ancora giunta alle mie orecchie e che, per quanto abbia poi dedicato del tempo ad informarmi in merito, mi lascia tuttora a dir poco sbigottita).

A difesa di Stallman, bisogna dire risulta difficile non essere ripetitivi quando ciò che si predica da ormai quarant’anni è purtroppo ancora attuale e diventa anzi sempre più rilevante.

Don’t hear what he didn’t say!

Un altro motivo per cui non ho trovato il discorso particolarmente avvincente è che Stallman, come oratore, è un po’ lento ed alquanto monocorde. Allo stesso tempo, ho sempre apprezzato la sua precisione. Ogni frase appare formulata con grande attenzione, ogni parola con estrema cura, allo scopo di evitare fraintendimenti.

Mi sono fatta l’idea che il prendersi il tempo per esprimere ogni concetto in modo esatto e senza enfasi sia una scelta deliberata e che Stallman voglia essere ascoltato per quello che dice esplicitamente, letteralmente, e non per come lo dice. Mi pare che questa sia una cortesia che gli si possa fare (e che in molti casi gradirei fosse rivolta anche a me). Su YouTube, l’unico social media che ancora frequento,3 mi sono imbattuta nella frase “don’t hear what I didn’t say” (“non stare a sentire quello che non ho detto”). Il contesto era la comunicazione tra persone autistiche ed allistiche, ma mi sembra una buona regola generale.

Vedere le differenze, far vedere le somiglianze

Fin qui, questo post potrebbe sembrare un’apologia di Stallman. C’è però un aspetto del suo modo se non di ragionare quantomeno di comunicare che trovo altamente controproducente.

Nel film Rai La meglio gioventù (2023), una dei protagonisti, Giulia, critica il compagno Nicola dicendo che “non vede le differenze”. Ho ripensato spesso a questa frase perché ritengo che ci sia invece un grande valore nel cercare di vedere le somiglianze.

Stallman questo non sembra volerlo fare, quantomeno non nel suo linguaggio. Ad esempio, rende le distanze dal termine “open source” (con motivazioni a dire il vero legittime e quasi sempre anche ben articolate) e addirittura dagli acronimi “FOSS” (Free and Open Source Software) and “FLOSS” (Free, Libre and Open Source Software) perché “‘free’ and ‘software’ are too far away from each other” (“[le parole] ‘libero’ e ‘software’ sono troppo lontane l’una dall’altra”); ci tiene a rimarcare che il boicottaggio di Spotify da parte di alcuni musicisti è insufficiente perché “they don’t seem to recognize the injustice Spotify does to every listener: such as making them identify themselves (by payment systems) and imposing DRM.” (“Non sembrano riconoscere l’ingiustizia che Spotify commette nei confronti di ogni ascoltatore: ad esempio, obbligandoli a identificarsi (tramite sistemi di pagamento) e imponendo il DRM”) e minimizza il valore del movimento Right to repair sulla base di un suo presunto disinteresse verso il concetto di software libero.

In molti di questi casi, mi sembra che le differenze che Stallman correttamente individua tra diversi gruppi siano meno rilevanti delle affinità che esistono tra di loro. In alcuni, credo addirittura che la distanza tra di loro nasca non da differenze valoriali sostanziali, ma da scarsa conoscenza dei reciproci principi ed obiettivi. Nel vedere le differenze, dimostra senz’altro spirito critico, ma nel farle insistentemente vedere agli altri scoraggia forse un dialogo che io ritengo invece cruciale. Personalmente, cercherò di mettere in risalto le somiglianze pur avendo consapevolezza delle differenze.


  1. Il titolo di questo post e la frase “in direzione ostinata e contraria” sono un omaggio a Fabrizio de André. 

  2. Ho avuto a più riprese il dispiacere di interagire con il personale di Radio Radicale, ma rimango entusiasta del loro archivio. 

  3. Prevalentemente tramite LibreTube, un client libero che mi permette di continuare a seguire i canali che m’interessano senza che Google lo venga a sapere. Ho invece del tutto abbandonato Instagram, per ragioni soprattutto etiche, nonostante certi contenuti e persino alcune delle sue meccaniche non mi dispiacessero.