Ricordo vagamente
che ti era dispiaciuto
quando improvvisamente
quel mio quaderno arguto

di rime quotidiane
avevo messo a posto
avendo mille grane
da affrontar piuttosto

che scriver cose strane:
dovevi aver pazienza,
era uno sforzo immane
già la sopravvivenza.

Da allora ho ritentato
in diverse occasioni
ma ho sempre un po’ stentato
a scriver versi buoni

perché le circostanze
ora sono diverse
e senza riluttanze
direi che si son perse

un poco di destrezza
che vien dall’esercizio,
un po’ di leggerezza
che stimolava il vizio

di scrivere d’inezie,
tempo e motivazione
(ma queste son minuzie)
per di una riflessione

voler limare il testo.
Di certo noterai
che parlo di contesto
e forse chiederai

“Non avevi accettato
che fosse il tuo essere
ad essere cambiato?”.
Non starò qui a ribattere,

con questo ho fatto pace,
ma di quei mutamenti
qualcuno mi dispiace
e ci son dei momenti

in cui forse un bel ripasso
potrebbe esser d’aiuto
per fare indietro un passo.
Su questo ho riflettuto

e riaprendo quel taccuino
in questo pomeriggio
mi viene un po’ il pallino
(e un poco mi amareggio)

di capir che trovassi
in quei miei versi ironici,
perché tu li elogiassi
tanto da dirli iconici.

Sono piuttosto scarsi
a far dell’autocritica
e credo possa darsi,
usando un po’ la logica,

che il punto principale
fosse l’azione stessa
di scriver del normale
fingendomi poetessa.

Se questo era il motivo
di quel tuo apprezzamento
riprovo ancora e scrivo
pur senza il tuo commento.